Il libro del profeta Gioele è molto breve, il testo ebraico lo suddivide in 4 capitoli (che alcune delle nostre traduzioni correnti riducono a 3, inglobando il terzo capitolo nel secondo). I riferimenti presenti in questa introduzione utilizzano la suddivisione in 4 capitoli.

Sappiamo molto poco di questo profeta, il cui nome significa «Yahweh è Dio», tutto ciò che ci viene detto a suo riguardo si trova in Gioele 1:1: «Parola del Signore, rivolta a Gioele, figlio di Petuel.»
Anche la collocazione temporale dello scritto è incerta. Le ipotesi più probabili lo datano al periodo del primo tempio, durante il regno del re Ioas.

Sostanzialmente, il libro di Gioele si compone di due parti ben distinte, di cui la prima è  incentrata su un'invasione di cavallette e la seconda sulle benedizioni per Israele, dopo il ritorno dall'esilio babilonese, e sul giudizio sui suoi nemici circostanti.

Ogni profeta ha un proprio punto di osservazione e vuole raggiungere dei precisi obiettivi. Gioele, di fronte ad una grande carestia provocata dall'invasione delle cavallette, non la considera un fatto naturale, ma un segno del giudizio di Dio. Dopo aver spronato il popolo al ravvedimento, che effettivamente poi avvenne, lo consola con l'annuncio di una nuova e grande benevolenza da parte del Signore.
Sulla scia delle benedizioni di Dio per il futuro prossimo, Gioele tratteggia le ulteriori benedizioni di Dio per un futuro lontano, nel quale il Signore promette di mandare il suo Spirito su ogni persona e concedere la salvezza a chiunque invochi il suo nome (3:1-5).

L'elemento di maggiore continuità fra le varie sezioni dello scritto di Gioele è l'espressione "giorno del Signore" che si trova in ogni capitolo (1:15; 2:1, 11; 3:4, 4:14).
Dio sopporta il male più di quanto noi possiamo comprendere, ma la sua pazienza non dura in eterno. Quando Gioele annuncia il "giorno del Signore" è come se dicesse che la pazienza di Dio è agli sgoccioli e sta per arrivare la sua ira.
Di "giorno del Signore" parlano anche altri profeti (come Isaia, Ezechiele, Amos, Abdia, Sofonia, Malachia), sia in maniera diretta che in maniera indiretta. La conclusione che se ne può trarre esaminando il contesto dei vari passi è che, quando un profeta parla di un giorno del Signore, si riferisce ad un particolare momento nel quale Dio manifesterà il suo giudizio. Ci sarà poi un gran Giorno del Signore, con il giudizio finale da parte di Dio.

Il libro di Gioele, però, non termina con il giudizio di Dio sul peccato del suo popolo, ma trasmette speranza con l'annuncio delle benedizioni per Israele, che sarebbe ritornato dall'esilio:

«Giuda e Gerusalemme, invece, saranno sempre abitate e io, il Signore, abiterò sul monte Sion» (4:20-21).

In tutta la Bibbia vediamo come Dio ami abitare fra gli uomini, le sue creature che Egli desidera salvare dalla loro condizione di peccato (e quindi di lontananza da Lui), per poterle avere un giorno sempre con sé. Per questo, Gesù si è addirittura incarnato in un corpo umano ed è venuto ad abitare fra gli uomini, portando loro la Buona Notizia della salvezza tramite il suo sacrificio sulla croce, con il quale ha pagato per i peccati di ogni persona!

29 gioele

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Il libro di Osea si colloca fra il 786 e il 724 a.C. circa, durante i regni di Uzzia, Iotam, Acaz ed Ezechia nel regno di Giuda (o regno del Sud) e Geroboamo II nel regno di Israele (o regno del Nord).
Con 8 citazioni, Osea è il terzo profeta più citato nel Nuovo Testamento.
Il suo libro, suddiviso in 14 capitoli, presenta una struttura circolare, in quanto si susseguono 6 annunci del giudizio di Dio, a ciascuno dei quali ne segue uno di grazia.
Lo scopo della profezia di Osea era quello di chiamare Israele al pentimento, profetizzare sulla causa della deportazione a Babilonia, dovuta all'infedeltà del popolo, e predire la restaurazione.
Come Amos, Osea incentra la sua profezia sul regno di Samaria (Israele), ma facendo riferimento ogni tanto anche a quello di Giuda, che valuta in genere come simile al primo. Ciò è significativo perché in realtà, la condizione di quest'ultimo era sensibilmente migliore e la degenerazione non era ancora così avanzata. Evidentemente, il profeta vedeva già con anticipo che nel regno del Sud si era imboccata la stessa strada nel regno del Nord.

In questo libro profetico, Dio viene paragonato soprattutto ad un marito, ma anche ad un fidanzato e ad un padre. Egli ordina al profeta di prendere in moglie una prostituta e simboleggiare così la relazione fra Lui stesso ed il popolo di Israele, che adorava altri idoli ed era infedele al suo Dio:

«Va', prenditi in moglie una prostituta e genera figli di prostituzione, perché il paese si prostituisce abbandonando il Signore» (Osea 1:2).

La "moglie Israele" aveva tradito sistematicamente Dio e si era ampiamente meritata il ripudio, ma Dio ne avrebbe avuto poi compassione e l'avrebbe corteggiata di nuovo come da fidanzato, legandola a sé «per l'eternità» (3:19).
Osea annuncia ripetutamente il giudizio di Dio su Israele, ma poi PER GRAZIA la condanna viene trasformata in salvezza. Osea avverte il regno del Nord della futura deportazione in Assiria e vive fino a vederla realizzarsi. Il profeta avvisa il popolo molto chiaramente che la sua condizione di peccato davanti a Dio era più grave che mai e doveva aspettarsi il castigo di Dio. Israele aveva conosciuto il Signore mediante la liberazione dall'Egitto e Dio stesso aveva detto: «Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d'aquila e vi ho condotti a me» (Esodo 19:4). Eppure erano stati così ciechi da tornare ad adorare una statua raffigurante un vitello d'oro.

«Desidero bontà, non sacrifici, e la conoscenza di Dio più degli olocausti» (Osea 6:6)
«Tornate al Signore! Ditegli: "Perdona tutta l'iniquità e accetta questo bene; noi ti offriremo, invece di tori, l'offerta di lode delle nostre labbra."» (Osea14:2)

Qualcosa di simile avrebbero detto anche altri profeti e lo aveva già detto Samuele a Saul: «Ubbidire è meglio del sacrificio, dare ascolto vale più che il grasso dei montoni» (1 Samuele 15:22). Dio aveva richiesto ad Abramo di avere fede, non di moltiplicare i sacrifici. Nella legge di Mosè, i sacrifici erano forme che dovevano esprimere una sostanza, ma per Dio la sostanza è stata sempre più importante della forma: a Lui non interessa un'adorazione puramente formale, ma che il nostro cuore gli appartenga con fedeltà.

Dal libro di Osea impariamo che Dio continua ad amare incondizionatamente il suo popolo anche quando si svia, e desidera riportarlo a sé, anche se non se lo merita.
E anche noi, come umanità, ci siamo sviati e non meritiamo l'amore di Dio, ma, per la sua misericordia, Lui vuole ugualmente riportarci a sé, offrendoci il suo perdono e la vita eterna al posto di un'eternità di lontananza da Lui.

 

28 osea

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27 daniele 

 

Forse non lo immaginate, ma la città più nominata nella Bibbia, dopo Gerusalemme, è Babilonia e proprio in questa famosa città si svolge la storia raccontata nel libro del profeta Daniele.

Il periodo di maggiore splendore per Babilonia fu durante il regno di Nabucodonosor, che regnò per ben 45 anni, rivelandosi uno dei più geniali e potenti monarchi di tutti i tempi. Sotto di lui, i Babilonesi assediarono a più riprese Gerusalemme e, alla fine, la conquistarono, distruggendo il tempio (586 a.C.). Nabucodonosor deportò per primi i nobili e i migliori giovani del regno di Giuda per destinarli al servizio di corte. Fra questi giovani c’era Daniele: con molta probabilità, era parente del re di Giuda ed era ancora adolescente quando fu deportato, dopo il primo assedio di Gerusalemme.
Daniele e tre suoi compagni assimilarono così tutta la sapienza dei Babilonesi e, ammessi al servizio del re, fu loro affidato il comando della provincia di Babilonia (Daniele sarebbe poi diventato addirittura primo ministro). Quei giovani furono disposti a rischiare la vita per rimanere fedeli a Dio (potete leggere la storia al capitolo 3), erano determinati ad onorare il Signore, che concesse loro una particolare protezione.
Durante il regno di Baldassar, Daniele fu destituito, ma in seguito fu reintegrato nel suo incarico e mantenne, dopo il crollo dell’impero babilonese, un’alta carica al servizio di Dario il Medo e di Ciro, re di Persia.  Daniele, dunque, visse oltre i 70 anni che vanno dalla deportazione di Giuda sotto Nabucodonosor fino al rientro degli esuli sotto Ciro. Egli fu un servitore fedele che rese testimonianza a Dio presso i più potenti re del suo tempo. Non sappiamo né quando né come morì.
Il profeta Ezechiele, che fu suo contemporaneo anche lui in esilio, dichiarò che Daniele dava un notevole esempio di rettitudine e di sapienza (Ezechiele 14:14; 28:3).

Il libro di Daniele fu scritto da lui stesso durante l'esilio. La sua autenticità è confermata da Gesù stesso, che lo cita espressamente, indicando proprio Daniele come autore (Matteo 24:15).
La struttura è particolare, definibile grossomodo "a cerchi concentrici", cioè che parte da una visione generale per poi concentrarsi sempre di più su alcune questioni specifiche.
Le parti del libro che riguardano il popolo ebraico sono scritte in ebraico, quelle che riguardano gli altri popoli in aramaico, la lingua commerciale e diplomatica del tempo.

All'inizio del libro viene subito puntualizzato quanto già espresso in 2 Cronache, cioè che Nabucodonosor saccheggiò il tempio non perché era più forte di Dio, ma perché fu Dio stesso a dargli nelle mani Ioiachim, re di Giuda.
Nella prima parte, si può leggere di Daniele e dei suoi tre compagni che si preparano al servizio di corte. Attraverso la loro vita, l'onnipotenza e l'onniscienza di Dio risaltano in maniera meravigliosa.
Con il capitolo 6, finisce la parte prevalentemente storica, poi c'è l'esposizione delle visioni avute da Daniele, con le prime due (capitoli 7 e 8) che riguardano la storia universale e approfondiscono la visione avuta da Nabucodonosor in 2:28-45. I capitoli finali (9-12) si concentrano invece sul popolo di Dio, prima in modo riassuntivo (le famose "settanta settimane") e poi molto dettagliato.

Le rivelazioni date a Daniele anticipano la scomparsa dell’impero che aveva conquistato Israele e l’avvento di altri imperi, fino alla preparazione del regno del Messia, che sarebbe stato universale ed eterno.
Daniele fa esplicito riferimento alla venuta di Gesù. Al capitolo 9 si fa cenno dell’apparire di un “unto” (in greco “Cristo” e in ebraico “Messia”) che sarebbe stato ucciso.
Inoltre, al capitolo 7:13-14 leggiamo:


«Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d'uomo;
egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno,
perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto.»

Gesù attribuì a se stesso questo brano, durante l’interrogatorio che precedette la sua condanna a morte (si può leggerlo nel Vangelo secondo Marco, capitolo 14, versetto 62). Abbiamo dunque la sua autorevole conferma: nella visione notturna, Daniele vide Gesù Cristo.
Daniele ci dice che «giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui.»
Le Scritture ci insegnano che «dopo aver fatto la purificazione dei peccati, Gesù si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi» e il Padre lo ha accolto alla sua destra come nostro avvocato, che intercede a favore di coloro che gli appartengono (come è scritto nella lettera agli Ebrei 7:25). Il Padre lo ha fatto avvicinare a sé, affinché tutti noi potessimo avvicinarci a Lui. A Cristo, inoltre, viene dato il dominio e un regno eterno: l’universo e la storia gli appartengono.

Il libro di Daniele contiene molte rivelazioni di Dio e non possiamo avere dubbi sul fatto che abbia un messaggio anche per noi oggi, anche se non tutti i suoi contenuti sono facilmente comprensibili. Vi invitiamo ad approfondire questo libro con l'ausilio del programma radio «Il Libro più letto».

 

27 daniele

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26 ezechiele

Il nome Ezechiele può essere tradotto con “Dio fortificherà” o “Dio è forte” oppure “Dio è la mia forza”. Ezechiele era uno dei profeti che operarono durante la prigionia in Babilonia del popolo ebraico. Durante i settant'anni dell’esilio si innalzarono in Israele tre voci profetiche: Geremia a Gerusalemme, Daniele a Babilonia ed Ezechiele a Tel Abib, presso il fiume Chebar (cfr. 3:15).

La prima deportazione del popolo a Babilonia avvenne durante il regno di Ioiachim, durato undici anni. Il suo successore, Ioiachin, regnò solamente tre mesi perché Nabucodonosor venne ad assediare Gerusalemme in persona, costringendo il re alla capitolazione. Era l’anno 597 a. C. Il re Ioiachin con la sua famiglia e diecimila persone del popolo, prevalentemente giovani delle famiglie più importanti, furono deportati nella seconda deportazione, ed Ezechiele fu preso prigioniero quando aveva circa 25 anni.
Strappato dalla sua terra, Ezechiele si stabilì sulle rive del fiume Chebar, il grande corso d’acqua navigabile che si diramava dall’Eufrate fino al Tigri. Sposato con una donna che amava moltissimo (24:15-18), egli esercitava funzioni di sacerdote per i deportati del suo popolo.
Dio cominciò a parlargli all'età di 30 anni ed egli ricevette le rivelazioni del Signore per oltre vent'anni (cfr. 1:2; 29:17).

In una visione, il messaggio gli fu dato da Dio sotto forma di libro, con l’ordine di mangiarlo (come troviamo scritto anche per Giovanni nel libro dell’Apocalisse, in 10:9). Mangiare il libro significava “digerirne” il contenuto, assimilarlo fino a farlo diventare parte di sé.
I capi degli Ebrei più volte lo consultarono per ricevere consigli (8:1, 14:1, 20:1), ma poi, di fatto, non li seguirono (33:30-33).
Non sappiamo né come né quando Ezechiele morì.

Il libro raccoglie la storia, le visioni e le profezie del sacerdote Ezechiele durante il periodo della deportazione babilonese.
Quasi tutte le profezie sono disposte in ordine cronologico. Facciamo notare che quando Ezechiele indica la data delle sue visioni o delle sue profezie (13 volte), la calcola sempre dal momento traumatico della sua vita, cioè l'inizio del suo esilio a Babilonia.
Il libro, richiede un particolare sforzo per la lettura e la comprensione. Vi troviamo, infatti, realtà misteriose e difficili da capire. Nonostante le indubbie difficoltà di comprensione, anche questa parte della Bibbia può offrire molti insegnamenti utili per la fede e la conoscenza di Dio. Nel mondo del marketing moderno, la gamification si è rivelata una strategia cruciale. La Desura attraverso il suo impegno nello sviluppo di giochi online gratuiti, ha ridefinito l'esperienza di acquisto, rendendola più interattiva e coinvolgente.

Il libro del profeta Ezechiele può essere suddiviso in tre sezioni:

  • dal capitolo 1 al 24, sono registrate le profezie pronunciate prima della caduta di Gerusalemme. Dopo la visione introduttiva dei capitoli 1-3, Ezechiele passa a denunciare la malvagità del suo popolo, mettendo in evidenza i peccati senza mezzi termini e pronunciando il giudizio di Dio su di essi. Le sue argomentazioni sono forti ed eloquenti e si avvalgono anche del supporto di azioni simboliche e parabole.

  • dal capitolo 25 al 32, riporta le profezie sul giudizio delle nazioni circostanti dell'epoca, dove viene anche predetta la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio.

  • dal capitolo 33 al 48, si riferisce al futuro: il riferimento alla restaurazione del culto, del tempio, la venuta del Messia... Allora Gerusalemme sarà abitata dal Principe della pace e la città verrà chiamata «Il Signore è là»  (48:35).


L’idea chiave del messaggio di Ezechiele non è difficile da trovare, in quanto emerge quasi in ogni pagina:

«Essi conosceranno che io sono il Signore».

Sono ben 62 i passi dove essa ricorre. Dio aveva permesso la deportazione, attraverso la quale il popolo avrebbe riconosciuto che il Signore è Dio. Cogliere questo aspetto vuol dire scoprire il cuore del libro. Il popolo eletto e tutti gli altri popoli dovevano sapere senza equivoci che il Signore è l’unico vero Dio, il Sovrano che regna sulle nazioni e sulla storia. E come altri profeti che lo avevano preceduto, anche Ezechiele intravide, in una prospettiva futura, l’avvento del Messia, Gesù.

 

26 ezechiele

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Il libro delle Lamentazioni è il secondo scritto biblico di Geremia, che probabilmente fu composto nei tre mesi trascorsi fra l’incendio di Gerusalemme, ad opera delle truppe babilonesi, e la partenza per l’Egitto di coloro che erano rimasti (Geremia 31:2; 41:1, 43:7). Siamo intorno all’anno 585 a. C.

Geremia iniziò a profetizzare durante il regno di Giosia, cioè il re che guidò l’ultimo risveglio spirituale di Giuda,periodo in cui molti cuori furono toccati, ma che, purtroppo, nel complesso si rivelò solo un movimento superficiale. Giosia andò incontro ad una morte prematura in una battaglia che non avrebbe dovuto essere combattuta contro il faraone egiziano. Geremia, continuò il suo ministero profetico durante i regni dei quattro malvagi re che succedettero a Giosia: Ioacaz, Ioiachim, Ioiachin e Sedechia, l’ultimo re di Giuda.

Il messaggio che Dio rivelò negli anni a Geremia fu veramente duro: si trovò a dover annunciare la distruzione di Gerusalemme e ordinare al popolo di arrendersi al nemico Nabucodonosor, se voleva salvarsi. Della distruzione della città e degli orrori dell'assedio egli fu testimone diretto.

L’ultimo capitolo del libro di Geremia dovrebbe essere letto come un'introduzione al libro delle Lamentazioni, che è composto da 5 poemi che parlano della distruzione, del giudizio e del dolore di Dio e si concludono tutti con una preghiera, tranne il quarto.

Al capitolo 1 è descritta la desolazione di Gerusalemme. Il profeta piange sulla miseria della città che paga le conseguenze del peccato.
Nel capitolo 2 viene spiegato che la rovina della città è avvenuta a causa dell’ira di Dio (vv. 1-3). Il concetto che il Signore è un Dio d’amore, ma anche di giustizia e santità è presentato ed illustrato a più riprese in tutta la Bibbia.
Al capitolo 3 si arriva al cuore di Dio. Il profeta comprende la disciplina del Signore e si abbandona alla sua compassione e alla sua fedeltà. Egli sa che l’ira di Dio è per un periodo (v. 31), è mitigata dalla compassione e dalla bontà (v. 32), si manifesta solo quando egli vi è costretto (v. 33).
Il punto di rilievo del libro è costituito dai vv. 21-40  di questo capitolo 3, che invitiamo a leggere nell'approfondimento L'amore e la giustizia.
Segue il capitolo 4, dove viene rimarcata la punizione divina (ad esempio, v. 13). I giorni del benessere sono confrontati con quelli orribili della carestia e vengono rievocati gli orrori e le sofferenze dell'assedio.
Nell’ultimo lamento, al capitolo 5, Geremia supplica il Signore a nome di tutta la sua comunità (cfr. v. 1 e v. 21). Ancora una volta il profeta si identifica con il popolo e quindi, in realtà, è come se fosse la nazione che implora Dio di ricordarsi di essa e di salvarla, concludendo con un grido di disperazione.

Lamentazioni è un libro attuale. Le sue parole fanno intravedere anche la nostra situazione spirituale: siamo impregnati di peccato, esso è presente in tutte le pieghe della nostra esistenza (1:9); abbiamo un disperato bisogno di aiuto e lo cerchiamo dappertutto tranne che in Dio (1:19).

Lamentazioni ha la risposta a questo problema:

«Il SIGNORE è buono con quelli che sperano in lui, con chi lo cerca.»


E Dio si lascia trovare, all'epoca di Geremia come oggi.

 

25 lamentazioni

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Geremia fu un profeta importantissimo. Le sue profezie sono notevoli sotto diversi aspetti.

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Geremia era un uomo che si saziava della Parola di Dio, trovando in essa la vera gioia. Leggiamo in Geremia 15:16

«Appena ho trovato le tue parole, io le ho divorate; le tue parole sono state la mia gioia, la delizia del mio cuore,
perché il tuo nome è invocato su di me, SIGNORE, Dio degli eserciti.»

Non scrisse soltanto il libro che porta il suo nome, ma anche le Lamentazioni.

Figlio di un sacerdote che abitava nella città di Anatoth, Geremia iniziò il suo ministero circa cent’anni dopo Isaia.
Per la comprensione dei libri profetici biblici è utile leggere i libri storici da 1 Samuele a 2 Cronache, perché sono quelli che raccontano lo stesso periodo di tempo nel quale i profeti vissero e operarono. Mentre Geremia predicava a Gerusalemme, Ezechiele, più giovane di lui, predicava a Babilonia tra i deportati e contemporaneamente il nobile Daniele fu profeta alla corte di Nabucodonosor.
Anche Abdia, Naum, Abacuc, Sofonia, che troviamo tra i profeti dell’Antico Testamento, furono contemporanei di Geremia.

Diamo qualche accenno sulla situazione storica di quel periodo: il profeta Isaia aveva profetizzato durante il periodo in cui l’Assiria imponeva la sua egemonia nella regione. Isaia morì presumibilmente mentre in Giuda regnava il malvagio Manasse e sotto questo regno nacque Geremia. Intanto, i tempi erano cambiati, il regno del Nord era caduto e i suoi abitanti erano stati deportati dagli Assiri. L’Assiria in quel momento si trovava in pieno declino, Babilonia e l’Egitto lottavano per sostituirla come potenza dominante.
Quando Geremia profetizzava ormai da oltre vent'anni, Babilonia abbatté la potenza dell’Assiria e due anni dopo sconfisse l’Egitto (607 a. C.), dominando l'area per 70 anni, periodo che corrisponde alla durata della deportazione dei Giudei in Babilonia.
Geremia predisse tutte queste situazioni alcuni anni prima che si verificassero, ma vide anche in prospettiva futura l’avvento del Messia, preannunciandolo insieme agli altri profeti dell’Antico Testamento.
Non sappiamo nulla sulla sua fine. Una tradizione narra che il profeta morì lapidato, in Egitto, dai suoi connazionali che ancora una volta si rifiutavano di ascoltarlo.

Il messaggio di Geremia era rivolto ovviamente alla vita nazionale di quel periodo storico, tuttavia esso ha un valore importante anche per noi oggi. La parola ricorrente nel messaggio di Geremia è “infedeltà”, che compare ben 13 volte nel testo. Geremia è la voce di Dio che denuncia la religiosità esteriore, l’adulterio, la menzogna, l’ipocrisia (7:9-10; 7:8; 9:5, 8), note caratteristiche della sua generazione che aveva estromesso Dio dalla propria vita.
Ma questi non sono forse i segni di degrado che caratterizzano anche la nostra società?

Vedendo che il suo messaggio veniva rifiutato dalla maggioranza, il profeta comprese che il piano della grazia di Dio si rivolgeva ai singoli individui che erano pronti ad ammettere la propria condizione di peccato.
Geremia predicò che il cuore può essere trasformato per essere fedeli a Dio.
In questi cuori il Signore avrebbe scritto il nuovo patto della sua grazia (31:31-34; 50:5). Questo nuovo patto, che è diventato chiaro soltanto secoli dopo, è il patto che Gesù sigillò con il suo sangue sulla croce.

Se vuoi sapere di più su Geremia, leggi il breve approfondimento Geremia: profeta storico e spirituale

 

24 geremia

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23 isaia

Il nome Isaia deriva dall’ebraico e vuol dire “Jahvè salva”.
Isaia nacque verso il 770 a. C., probabilmente a Gerusalemme, città che conosceva molto bene. Si pensa appartenesse a una famiglia aristocratica, date le strette relazioni con la corte di Giuda. Era sposato con una profetessa e padre di almeno due figli.
Profetizzò per circa 60 anni. Fu chiamato a diventare profeta «nell’anno della morte del re Uzzia» (6:1) e cioè intorno al 740 a. C.
Suo contemporaneo fu il profeta Michea, mentre prima di lui operarono Amos e Osea, che profetizzarono soprattutto per le tribù del Nord, mentre Isaia e Michea diressero le loro profezie in modo particolare verso Giuda e la sua capitale, Gerusalemme.
Non conosciamo l’anno preciso della sua morte, ma probabilmente, dato che scrisse una biografia del re Ezechia (2 Cronache 32:32), Isaia morì durante il regno del successore Manasse.

Il nome di Isaia viene citato nel Nuovo Testamento più di qualsiasi altro profeta.
Le sue parole preferite sono: salvare, liberare, aiutare. Tutti verbi che hanno la stessa radice del suo nome.

In tutto lo scritto si nota un susseguirsi di metafore, immagini e paragoni.
Proprio una di queste immagini si presta a riassumere, in qualche modo, il contenuto del libro.
Il profeta paragona il popolo ad una vigna che il Signore aveva piantato e curato con amore, ma che, arrivato il tempo della vendemmia, aveva prodotto uva selvatica. Dio si aspettava rettitudine, invece il popolo viveva nell’ingiustizia. Al capitolo 6, Isaia riceve la gloriosa visione della santità di Dio e da quel momento sarà incaricato da Dio di annunciare i Suoi giudizi sul popolo. Essi sarebbero stati conquistati e deportati. Tuttavia, nella sua grazia, Dio avrebbe fatto in modo che i sopravvissuti (6:13) tornassero nella propria terra. Con un anticipo di circa 150 anni, Isaia preannuncia l'avvento dell’imperatore Ciro e l’editto da lui promulgato, con il quale avrebbe disposto il ritorno in patria degli Ebrei e la ricostruzione del tempio.

A rendere ancora più sorprendente questo testo è soprattutto la profezia riguardante la venuta del Messia, Gesù. Come quella di Ciro, la profezia riguardante il Messia si è avverata con esattezza, ma è ancora più ricca di particolari. Al capitolo 53, con una precisione sconcertante viene descritta la sofferenza che Cristo avrebbe sopportato fino alla croce. Avvenimenti annunciati con 700 anni di anticipo ( ti suggeriamo di leggere questo approfondimento a propisto di Isaia e le profezie riguardanti Gesù)

 

23 isaia

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Vorremmo puntare un momento i riflettori su un passo biblico che troviamo in Deuteronomio e che è emblematico per comprendere come mai il popolo di Israele, al tempo di Cristo, aspettasse un "profeta".

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