Prima di scoprire che cosa ha lasciato scritto l'apostolo Pietro, potrebbe essere utile leggere chi egli fosse nell'approfondimento «La scelta di Pietro: pesci o uomini?».

Le due lettere scritte da Pietro nacquero dalla spinta che l'autore ricevette dallo Spirito Santo ad esortare i cristiani sparsi nell’Asia Minore.
La prima lettera fu redatta probabilmente nell’anno 65, cioè nello stesso periodo in cui Nerone accusò i cristiani di aver incendiato Roma e Paolo dovette comparire in giudizio davanti a lui. La missiva portò certamente un gran conforto ai cristiani esposti al martirio in quel periodo.
L’umiltà di Pietro che trapela dallo scritto è un esempio: egli si identifica con i suoi fratelli e li incoraggia a diventare un esempio per gli altri.

Gli argomenti della prima lettera ruotano intorno alla persona e l’opera di Cristo per tutti noi. Pietro ricorda ai lettori che le sofferenze di Gesù sono state profetizzate nei secoli precedenti la sua venuta (1:11) e che la sua sofferenza è culminata nella morte, con la quale egli ha compiuto il sacrificio per i nostri peccati. Tutti coloro che credono in Gesù Cristo e lo ricevono come loro personale Salvatore sono liberati dalla condanna del peccato (2:24). Ma Gesù non è rimasto nella tomba, egli è risorto e attualmente siede alla destra di Dio, il quale, dunque, l’ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria (1:21). La morte e la resurrezione di Cristo sono i due punti principali del Vangelo. Manca, però, ancora un tassello: il ritorno di Cristo. Pietro spiega che il cristiano oggi vive nella gioia perché ha ricevuto immeritatamente il dono della salvezza, e si protende in avanti in attesa dell’apparizione del sommo Pastore (5:4).

Dopo aver toccato l'aspetto fondamentale della buona testimonianza, sia durante i tempi di libertà che in quelli di persecuzione, passa a parlare del ruolo della chiesa. L’uomo convertito non vive un’esistenza solitaria, ma viene inserito nella grande famiglia dei credenti: i cristiani sono delle “pietre viventi” che, sapientemente posate e avvicinate l'una all'altra da Dio, formano una casa spirituale (2:4-6). E ancora, essi sono un “corpo di sacerdoti” i quali offrono sacrifici spirituali (2:5) a Dio per mezzo di Cristo che è il Sommo sacerdote. Infine, i credenti sono, per effetto della nuova nascita, una “stirpe eletta”, “sacerdozio regale”, una “gente santa”, il “popolo di Dio”, che “Dio si è acquistato” (2:9-10). Questa è la chiesa, la quale ha come compito di proclamare le cose grandi che Dio ha fatto: chi crede era nelle tenebre, ma ora si trova nella “sua luce meravigliosa” (2:9).

Passiamo ora alla seconda lettera. Vi troviamo diverse cose che la accomunano alla seconda lettera che Paolo indirizza a Timoteo. Entrambe sono una sorta di testamento lasciato dagli apostoli ai loro eredi spirituali. Paolo è alla vigilia del martirio quando invia le sue ultime istruzioni a Timoteo e anche Pietro sente che la sua vita volge al termine.

L’apostolo desiderava mantenere vivo il ricordo dei suoi insegnamenti anche dopo la sua morte e aveva preso un impegno in tal senso. Leggiamo direttamente le sue parole, al capitolo 1, versetti dal 13 al 16:

E ritengo che sia giusto, finché sono in questa tenda, di tenervi desti con le mie esortazioni.
So che presto dovrò lasciare questa mia tenda, come il Signore nostro Gesù Cristo mi ha fatto sapere.
Ma mi impegnerò affinché dopo la mia partenza abbiate sempre modo di ricordarvi di queste cose.

Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo,
non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà
.

Nel secondo capitolo, il discorso dell’apostolo diventa più incisivo sfociando in una forte denuncia del pericolo rappresentato dai falsi insegnanti. Infine, al capitolo terzo, invita i credenti a prepararsi alla prossima venuta del Signore: Cristo tornerà su questa terra e coloro che gli appartengono sono incoraggiati a vivere l'attesa nella pace, lontani dal peccato (3:14). Non ci viene detto né il luogo né chi siano i destinatari di questa lettera. Molti pensano che essa sia stata scritta a Roma come la prima lettera e che i lettori fossero i cristiani dell’Asia Minore.

Prima di concludere vogliamo puntare l'attenzione su una frase scritta da Pietro nella sua 1 lettera, al capitolo 3 v 18:

Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurci a Dio.


Il significato del Vangelo può essere riassunto proprio con queste parole: Cristo ha sofferto per condurci a Dio. Ciò vuol dire che la missione di Cristo era proprio quella di guidarci a Dio: ci ha creati per stare con lui, alla sua presenza, per gioire della sua gioia, per godere della sua gloria. Il peccato ha snaturato ogni cosa e abbiamo rivolto la nostra attenzione, i nostri desideri, alla creatura invece che al Creatore. Attraverso l’opera di Cristo, Dio ha fatto tutto ciò che era necessario per conquistarci, per portarci a sé, darci vita eterna e renderci felici per sempre. Cristo ha allargato le braccia sulla croce per accoglierci alla presenza di Dio.

 

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La narrazione che l'evangelista Marco fa vi sorprenderà sin dalle prime righe: vi calerà come in un film nella vita di Gesù cominciando dalla predicazione di Giovanni Battista al fiume e dal battesimo di Gesù stesso. Scritto sostanzialmente per i pagani e per coloro che non conoscevano usi e costumi del popolo ebraico, il testo è ricchissimo di commenti su luoghi, costumi e vocaboli, spiegazioni sui significati delle parole e le usanze ebraiche, e questo fatto rende le immagini ancora più concrete e tangibili davanti agli occhi del lettore. Inoltre l'autore insiste più sulle azioni di Gesù che sui suoi insegnamenti: anche se sono ricorrenti parole come “insegnare” e “predicare”, Marco riporta solo quattro parabole (al cap. 4), mentre racconta ben diciotto miracoli.

Tutto il Vangelo sembra tendere verso la passione di Cristo. Già al capitolo 2, notiamo l’inizio dell’opposizione da parte dei religiosi e dei politici. Al capitolo 3, verso 6 leggiamo:

«I farisei, usciti, tennero subito consiglio con gli erodiani contro di lui, per farlo morire.»

L’impressione che riceviamo, quando leggiamo Marco, è che egli ci racconti la storia di un uomo dinamico, sempre in movimento: Gesù ammaestra i discepoli e, nel frattempo, compie miracoli e dibatte con i religiosi mettendoli in seria difficoltà.

Una lettura attenta di questo Vangelo ci colpisce perché presenta un uomo che non nasconde la sua consapevolezza di essere una persona divina, mostra un’autorità assoluta in quello che dice e in quello che fa, ricevendo conferma dalla voce del Padre, proveniente dal cielo, in occasione del suo battesimo e della trasfigurazione. Gesù viene presentato come il servo di Dio, e l'autore esprime il concetto citando le parole del Signore:

«Poiché anche il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire, e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti»
(Marco 10:45).

Presenta un uomo che va diritto verso la condanna e la crocifissione, come se Egli stesso controllasse tutti gli eventi: è sorprendente notare come Gesù, per ben quattro volte, predica la sua morte e la sua resurrezione e come i discepoli non siano in grado di capire che quello che stava dicendo si sarebbe avverato di lì a poco. Gesù era più di un semplice uomo: Gesù era il Figlio di Dio venuto sulla terra per salvare l'umanità.

Vogliamo dire qualcosa di più sull'autore di questo vangelo. Chi era Marco?
Per ben otto volte, il Nuovo Testamento menziona un certo Giovanni, detto anche Marco (Atti degli Apostoli 12:25), la cui madre si chiamava Maria. Nella sua casa di Gerusalemme si riuniva la chiesa a pregare, come apprendiamo dal libro degli Atti degli Apostoli (12:12). Marco fu strettamente legato a tre figure di rilievo nel Nuovo Testamento: Barnaba, Paolo e Pietro.
Era cugino di Barnaba, come possiamo apprendere dalla Lettera ai Colossesi (l4:10). Di Barnaba sappiamo che era un ricco ebreo cipriota che, dopo la sua conversione, si distinse per aver donato agli apostoli tutto il ricavato della vendita di un campo (Atti 4:37).Barnaba fu uno dei primi missionari che il libro degli Atti presenta e Giovanni Marco collaborò a stretto contatto con lui nella sua opera missionaria.
La seconda figura di rilievo vicina a Marco fu l’apostolo Paolo. In un primo momento, Marco accompagnò Paolo e Barnaba nel loro primo viaggio missionario (Atti 13:5), e molti anni più tardi lo troviamo a fianco di Paolo come suo collaboratore (Colossesi 4:10, 2 Timoteo 4:11).
Con l’apostolo Pietro, Marco ebbe un forte legame e si può ipotizzare che il testo del Vangelo di Marco sia stata una stesura dei racconti di Pietro stesso.

 

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