Lettere di Paolo ai Tessalonicesi

Diamo prima alcuni cenni sulla città di Tessalonica. Fu fondata da Cassandro verso il 317 a.C. nei pressi dell'antica Terme e chiamata Tessalonica dal nome di sua moglie, sorella di Alessandro Magno. Era la principale città della Macedonia, ma anche al tempo dell’impero Romano mantenne la sua importanza, perché, oltre ad avere un importante porto commerciale, era attraversata dalla via Ignazia, la grande strada militare che da Roma andava verso l’Oriente. Con l’attuale nome di Salonicco è ancora oggi la seconda città della Grecia e un importante porto marittimo.

Il racconto della nascita della chiesa a Tessalonica lo troviamo nel libro degli Atti al capitolo 17 (1-10). La chiesa venne fondata verso il 51 d.C., durante il secondo viaggio missionario di Paolo. L'apostolo era arrivato in città in compagnia di Sila e Timoteo e, come era sua consuetudine, si era recato alla sinagoga, dove aveva cominciato a predicare il messaggio di Cristo, dimostrando ai Giudei, sulla base delle loro stesse Scritture, che Gesù è il Messia. Parecchi accolsero il Vangelo e fra questi un buon numero di persone provenienti dal paganesimo. Ma l’opposizione da parte delle autorità della comunità ebraica indusse Paolo ad abbandonare la sinagoga e cercare un’altra sede in cui esporre il Vangelo; anche in quella situazione, però, l'opposizione fu talmente forte che i missionari furono costretti a lasciare la città. I tre compagni di viaggio si recarono a Berea. Paolo lasciò sul posto Sila e Timoteo e prosegui da solo verso Atene. Era in ansia per la giovane chiesa di Tessalonica, così quando fu raggiunto dai suoi due compagni, rimandò immediatamente indietro Timoteo per raccogliere notizie sui nuovi convertiti di Tessalonica e, nel frattempo, da Atene si trasferì a Corinto. Timoteo lo raggiunse con buone notizie. I cristiani di Tessalonica stavano affrontando coraggiosamente la persecuzione. Queste notizie sollevarono lo spirito di Paolo, il quale, procuratosi inchiostro e pergamena, scrisse la sua prima lettera ai Tessalonicesi.

In questa lettera, Paolo ringrazia Dio per i credenti di Tessalonica, per come hanno accolto la buona notizia del Vangelo e sono divenuti, quindi, un esempio per altri che lo vorrebbero ascoltare. Nella prima sezione della lettera, l'apostolo spiega loro come affrontare con fermezza le avversità che stanno attraversando. La seconda sezione inizia con un’esortazione ad una vita santa. Paolo arriva poi a parlare del ritorno di Cristo e questo gli offre l’occasione per esortarli ad una vita vigilante. Il motivo di questa sezione, dedicata agli avvenimenti futuri, sembra dovuto alla preoccupazione di alcuni cristiani di Tessalonica per la sorte di quelli che, nella loro comunità, erano morti prima del ritorno di Cristo. Paolo chiarisce che coloro che muoiono prima di questo evento parteciperanno ugualmente alla sua venuta.

Passiamo adesso alla seconda lettera, scritta probabilmente pochi mesi dopo la prima. Anche in questo caso troviamo un accenno alla perseveranza dei cristiani di Tessalonica e al fatto che essi erano un esempio per gli altri. Sembra che alcuni credessero che il ritorno del Signore fosse già avvenuto; Paolo risponde parlando degli eventi che devono aver luogo prima di quel giorno. L’apostolo spiega che, prima che il Signore ritorni, devono realizzarsi due condizioni: ci dovrà essere l'abbandono della fede da parte di molti e l'Anticristo dovrà venire sulla terra. Questo passo è molto importante, perché spiega come saranno i tempi dell’Anticristo.

Dunque, mentre la prima lettera ai Tessalonicesi mette in evidenza l’imprevedibilità dell’arrivo di quel giorno “come un ladro di notte”, per usare un’espressione dell’apostolo, la seconda insiste su certi eventi che devono precedere il ritorno del Signore (capitolo 2).

Più avanti, Paolo affronta in particolare il problema di coloro che si rifiutavano di lavorare. Era giusto che i Tessalonicesi si preparassero al ritorno del Signore, ma alcuni di loro pensavano addirittura che esso fosse così imminente che non valesse più la pena di guadagnarsi onestamente la vita lavorando con le proprie mani. Alcuni credenti erano così convinti che avevano smesso di lavorare, vivendo disordinatamente, ma ciò non costituiva certo una buona testimonianza. Paolo corregge i cristiani di Tessalonica, dicendo loro chiaramente che l’avvento del Signore non sarebbe stato immediato e li esorta a tornare a lavorare. Presenta, allora, come esempio di fatica e di autosufficienza economica il lavoro che egli e i suoi collaboratori avevano svolto mentre erano a Tessalonica.

Paolo conclude la lettera augurando ai Tessalonicesi la pace del Signore e con un saluto scritto di suo pugno.

 

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